Il drago scioglie i corpi nello zucchero in una lotta a 180° con il santo pasticciere, santi in preghiera e uomini a cavallo, è il periodo armato con spade e bastoni, le guerre di religione si giocano a poker come in un quadro di George de La Tour. Per Angelo Formica l’immagine è un regalo del tempo e la conchiglia è il cuore della forma un’astronave marina dove l’angelo sostituisce il gambero. (Franco Toselli, 2013)

Dopo la messa c’è il pranzo, dopo il pranzo l’ammazzacaffè, compro una vocale, i pasticcini e le carte. E questo si ripete sistematicamente, o chissà dove si scorderebbe la memoria.
Potrebbe essere proprio la protezione della memoria una delle leve per i collage di Angelo Formica, dove prendono corpo elementi riconoscibili da tutti, che convocano i sensi e non si nascondono dietro macchinosi artifici intellettuali.
Il ludico si porta dietro una costellazione di regole, abbraccia il nostro bisogno di contare, e i numeri sono rassicuranti, almeno finché il gioco resta chiaro. Ma se dentro a un contesto diverso la carta o il dado incontrano altri sintomi della festa, quale destino per i loro significati? 
Incollare è un gesto definitivo, non si può tornare indietro senza danni. Ed è un gesto che congela, ferma tutto. Il tempo, l’iconografia, lo sguardo. Eppure questi collage non restano nell’immobilità, ma veicolano un incontro. Più contemplazioni che convergono sullo stesso accostamento, nello stesso momento. Più contemplazioni che si trattengono a vicenda. 
Ognuno dei temi toccati richiama una condivisione di momenti sacri, in bilico fra sacralità riconosciute e latenti, ma egualmente solide. Tanti nutrimenti messi insieme dalle forbici. E quando il pranzo è finito, inizia il gioco. Siamo nel pieno della dimensione domestica, circondati dai santini e dalle bestemmie. Santi alle pareti, nei cassetti o nel portafogli, da lì estrapolati e inevitabilmente planati sui supporti di Formica. Cremosi, afflitti, descritti da un’identità suggerita o inconfondibile, lì dove la loro pena si rinnova con dolcezza. È ritagliata loro una sagoma su sfondi d’altri tempi, dove ancora qualcosa si muove, qualcosa come legami insolubili. Martiri annunciatori della propria storia provano a dare la soluzione: non dare soluzione alcuna. 
Giocare, rischiare. Questione di strategia, di fortuna e colori. Simboli da corti e classi sociali conosciute nei libri di storia, o dal regno della natura e chissà in che modo raccolti nelle nostre mani. E chissà come riuniti in composizioni dove il passatempo è legge, condotto con laborioso impegno: giocando. (Lucia Grassiccia, 2013)

Scheda della mostra

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